Enoteca Serafino

Per l’export di vino italiano il 2023 è stato un anno negativo sul quale riflettere. Perché in realtà le tendenze in atto sono più preoccupanti di quanto dicano i numeri. In assoluto, lo scorso anno si è verificata una delle tre flessioni nell’export registrate negli ultimi venti anni. Gli altri due cali si sono verificati in coincidenza della crisi dei mutui subprime (2008-09) e poi nel 2020, anno che ha seguito il Covid.

Sotto il profilo del fatturato, le vendite all’estero si sono fermate a quota 7,7 miliardi lo 0,8% in meno dei 7,8 miliardi del 2022. Una limatura che non dovrebbe far preoccupare se non fosse maturata in un contesto inflazionistico il che significa che depurata dalla variabile prezzi la flessione sarebbe stata maggiore.

I vini sfusi

Analogamente per quanto riguarda i volumi la riduzione dell’1% delle quantità spedite oltrefrontiera pure sembrerebbe non allarmante se non fosse “drogata” dal ritorno di fiamma dei vini sfusi. Proprio a causa dell’inflazione che ha spinto verso l’alto i prezzi lo scorso anno si è assistito alla forte ripresa (+12%) delle vendite all’estero di vino indifferenziato e spesso imbottigliato all’estero. Il primo sbocco per questa fetta di produzione è la Germania paese nel quale il vino made in Italy venduto senza confezione copre due terzi degli acquisti.

Il rimbalzo delle vendite per la tipologia di vino low cost conferma il vero punto critico dell’export 2023 la perdita di valore del vino made in Italy. Disaggregando i dati infatti emerge che le difficoltà sono legate soprattutto ai vini fermi a denominazione venduti in bottiglia, che hanno riportato flessioni nelle vendite in volume del 6,2% per le Dop e del 4,3% per le Igp.

Meglio della Francia

Magra consolazione solo il fatto che per la Francia le cose sono andate anche peggio con cali che sono stati rispettivamente del -11% e del -8%. A soffrire, in linea con le tendenze mondiali, sono soprattutto i vini rossi italiani, che scendono dell’8% per le Dop e del 6% nel caso delle Igp. Le difficoltà dei vini rossi penalizzano alcune regioni in particolare: -12,5% a volume per i rossi Dop veneti, meno 10,5% per i toscani, meno 5,5% per i piemontesi.

Sul versante vini bianchi – che vedono i Dop a -4,7% e gli Igp a -1,3% – è stato riscontrato un calo delle vendite del 5% negli Stati Uniti, controbilanciato dal +3% del Regno Unito e dal +2% dei Paesi Bassi. Stazionaria la Germania.

Altro dato da sottolineare riguarda le prime difficoltà registrate dopo anni di crescita inarrestabile (+223% dal 2010 a oggi) anche per l’universo degli spumanti le cui vendite all’estero hanno perso il 2,3% in volume (-1,7% per il Prosecco) ma che grazie alla ripresa dei prezzi hanno messo a segno una crescita nei valori del 3,3% (Prosecco a +5,4%).

In volume lo spumante italiano ha perso sui primi due mercati mondiali (Usa -12%, Uk -4,4%), ma ha d’altro canto riportato una buona crescita nell’Est Europa e un andamento ancora più sostenuto in Francia, con un +25%. Un exploit al quale, secondo l’Osservatorio Uiv-Ismea, ha contribuito, soprattutto a causa del minor potere d’acquisto dei consumatori, l’effetto sostituzione dello Champagne con il Prosecco (+21%).

Il peso dell’inflazione

L’effetto inflazione ha consentito quindi di limitare i danni sul piano del fatturato mentre da un punto di vista geografico ha penalizzato le destinazioni più lontane come gli Usa e l’Asia favorendo una sorta di “arroccamento” delle spedizioni sui mercati Ue.
«La geografia dell’export – hanno spiegato all’Osservatorio Ismea-Uiv – ha visto una divaricazione netta tra i risultati ottenuti nell’Ue (+5,6% volume e +4,1% valore) ed extra-Ue (-7,5% volume e -4% valore)».

«In difficoltà i top cinque buyer – proseguono gli esperti dell’Osservatorio Ismea Uiv – fatta eccezione per la Germania che, forte del boom dello sfuso, ha chiuso a +8,4% (volume). Negativo il bilancio delle esportazioni in Usa, con un tendenziale -9,1%, oltre che in Uk (-1,8%), Svizzera (-3,6%) e Canada (-11,3%). Bene l’export in Francia (+6,7%), a fronte di una forte contrazione nei mercati giapponese (-13,4%) e cinese (-22,3%)».

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